“Va’ secura”. Chiara nel suo ‘transito’

Il racconto del “transito” di santa Chiara e degli eventi che lo precedettero suscita emozioni sempre nuove in chi l’ascolta. Si percepisce che Dio è presente e noi siamo con lui, naturalmente e familiarmente. Quale stupore! Pare di toccare l’invisibile, di essere condotti da Chiara nel Mistero; Mistero che non è lontano e sconosciuto, ma vicino e accessibile, fatto carne con intensità tutta particolare nel dormitorio di san Damiano. Ce ne sentiamo attirati; così guardiamo Chiara in quel momento in cui la sua esperienza umana di fede culmina e si sintetizza aprendosi alla visione, e desideriamo apprendere da lei a stare e perseverare nella medesima via, nel suo stesso cammino di donna cristiana.

In relazione con la sofferenza

Nella Leggenda è detto che, verso la sua fine, Chiara già inferma da 28 anni patì un aggravarsi della malattia che le impedì di assumere qualsiasi cibo per 17 giorni.

Chiara, dunque, sino alla fine è chiamata a porsi in relazione con la sofferenza. È stato un lungo itinerario, il suo, segnato fin dall’inizio da necessità, povertà, fatica, tribolazione, deprezzamento, disprezzo, e dall’infermità che la colse dopo soli dodici anni circa dall’inizio della sua nuova vita evangelica. Sofferenza interiore, sofferenza fisica; senza dimenticare le penitenze corporali a cui si sottoponeva, digiuno incluso, conforme ad una tendenza ascetica assai diffusa a quel tempo specialmente tra le donne, che ella tuttavia seppe maturare con sapienza, grazie anche all’intervento di Francesco; ne fa fede il consiglio indirizzato ad Agnese di Praga nella terza delle sue lettere: «Siccome non abbiamo un corpo di bronzo, né la nostra è la robustezza del granito, anzi siamo piuttosto fragili e inclini ad ogni debolezza corporale, ti prego e ti supplico nel Signore, o carissima, di moderarti con saggia discrezione nell’austerità, quasi esagerata e impossibile, nella quale ho saputo che ti sei avviata, affinché, vivendo, la tua vita sia lode del Signore, e tu renda al Signore un culto spirituale ed il tuo sacrificio sia sempre condito col sale della prudenza». La maturità di Chiara nel soffrire è manifestata dal fatto che non se ne lamenta; anzi, «dalla sua bocca uscì sempre una santa conversazione e il rendimento di grazie».

Lo sguardo su Gesù Cristo

Quale chiave di lettura della relazione di Chiara con la sofferenza se non il suo rapporto profondo e mai rinnegato con Gesù povero e crocifisso? Lo sguardo è fisso su di lui, da quando lo ha scoperto quale «Via» grazie all’esempio e alle parole di Francesco e lo ha seguito nella sua povertà e nel suo amore ripercorrendo l’esperienza della sua vita, dall’incarnazione alla passione e alla gloria.

«Dopo che ho conosciuto la grazia del mio Signore Gesù Cristo, attraverso il suo servo Francesco, fratello carissimo, nessuna pena mi è stata fastidiosa, nessuna penitenza pesante e nessuna malattia dura»: così rispose a frate Rinaldo che, in quegli ultimi giorni, le era accanto esortandola a sopportare con pazienza l’infermità. Chiara ha conosciuto la grazia di Gesù; l’espressione richiama le parole di Paolo ai Corinti: «Conoscete la grazia di Gesù Cristo: egli da ricco che era si fece povero perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà». E lei si sente arricchita dal suo Signore, tanto da donare a sua volta quanto ha ricevuto e che diviene, per chi l’avvicina, «conforto al servizio di Cristo». La relazione con Gesù sofferente, perciò, non ha chiuso Chiara in una pseudo-intimità, ma l’ha aperta agli altri rendendola animatrice di vita evangelica. Attorno al suo giaciglio, la comunità dei credenti cresce e trova nuovo vigore.

Fraternità/sororità pasquale

La relazione che Chiara instaura con coloro che la visitano converge nella Pasqua di Gesù: «Volle che le fossero vicino sacerdoti e frati spirituali che l’assistessero recitando la Passione del Signore e parole sante». Cogliamo qui il contenuto della santa unità, fulcro della forma di vita delle sorelle povere. La relazione fraterna si nutre della Parola del Signore accolta e comunicata, e ne è un’incarnazione; perciò, suscita gioia, una gioia autentica, che libera dalle pesantezze interiori e dilata la disponibilità a farsi dono. Chiara la sperimenta ascoltando «le parabole» di frate Ginepro e fa memoria del bene operato dal Signore, lo loda, ne invoca la benedizione sulle sorelle presenti e future: si dischiude, cioè, in un abbraccio che stringe tempi e luoghi distanti, persone conosciute e sconosciute eppur “presenti”, nel segno della benevolenza di Dio; e nella medesima benevolenza rivolge il pensiero a coloro che a vario titolo le sono legati e affidati. È l’apice della relazionalità fraterna di Chiara: il suo essere sorella e madre si è corroborato e purificato nell’accoglienza quotidiana delle sorelle e di tutti i fratelli, ricevuti e riconosciuti quale “dono” del Signore, e ora in modo definitivo a lui restituiti nella lode, come le ha insegnato Francesco. Così facendo, invita implicitamente chi l’ascolta a fare altrettanto.

Armonia riconciliata con se stessa

La relazione con la propria persona – l’identità psico-fisica, il passato e il presente – è fondamentale: insieme a quella con gli altri, con le sorelle nello specifico, determina la possibilità dell’effettivo compimento dell’alleanza con il Signore sancita nell’impegno ad «osservare il santo vangelo».

Nelle parole raccolte da più sorelle e trasmesse anche dalla Leggenda, pronunciate «essendo la preditta madonna et santa Madre presso alla morte, una sera de notte seguendo el sabato», Chiara rivela di aver maturato una profonda sintonia con se stessa, alla luce della fede nel Dio trino: «Va’ sicura, perché avrai una buona guida di viaggio. Va’, perché chi ti ha creato, ti ha santificato e, custodendoti sempre come una madre custodisce suo figlio, ti ha voluto bene con amore». Sono le sorelle a riferire che proprio la Madre ha detto loro di star parlando a sé.

Questo soliloquio è indice della capacità di distaccarsi da sé, di guardarsi alla giusta distanza che consente di riconoscersi con una certa obiettività. Ciò suppone una purificazione costante dalla tendenza innata nell’essere umano ad appropriarsi di tutto: dei beni di ogni genere, degli altri, della vita stessa.

In pace

Le sorelle che nel corso del Processo di canonizzazione riferiscono l’autoesortazione di Chiara aggiungono qualcos’altro rispetto alla Leggenda: «Va’ secura in pace». C’è un senso di compimento in questa pace. La pace biblica, lo shalom, è la somma di tutti i beni, che il vangelo annuncia compendiati nel dono del Risorto; per rivelazione divina i frati sono mandati a portare a tutti questa pace; ed essa viene accolta da coloro che non si turbano né si inquietano di fronte all’ingiustizia subita o al misconoscimento del proprio valore e finanche della propria identità. Chiara – lo si può ben supporre – ha conosciuto questa pace ed ha gustato la beatitudine augurata da Francesco nella strofa del Cantico di frate sole: «Laudato si, mi Signore, per quelli che […] sostengo infirmitate e tribulazione. Beati quelli che ‘l sosterranno in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati». Può dunque andare avanti, sicura di tale pace; difatti, di lì a poco, quasi come una conferma, una sorella la vede rivestita regalmente da molte vergini, guidate dalla Vergine Maria: un’anticipazione che ben presto sarebbe stata tra coloro che dall’«Altissimo sirano incoronati».

Chiara non si contenta semplicemente di incoraggiarsi a proseguire in pace il cammino: ne dà anche le motivazioni, unendo il buono senso dell’esperienza alla fede nel Dio rivelato in Gesù Cristo.

La vita: quale dono!

Chiara conclude l’esortazione a se stessa con una nuova benedizione, ora rivolta al Signore: «Tu, Signore, sii benedetto, lo quale me hai creata»; così testimonia una sorella. Chiara benedice Dio per aver vissuto su questa terra, per tutti i giorni che lui le ha donato, nel loro quotidiano scorrere. Le sofferenze e le gioie, le attese e le delusioni, le illuminazioni feconde e le secche dell’incomprensione e anche del dubbio. Possiamo pensare che tutto, proprio tutto ciò che forma l’esperienza umana nella carne e nel sangue si condensa in questa benedizione. È il ringraziamento supremo per “esserci” ed essere nella relazione fontale con il Dio della vita e dell’amore, dal quale si irradiano tutte le altre relazioni che fanno ricca e bella l’esistenza, promessa e preludio della comunione nell’eternità.

Non possiamo, forse, fare nostre le parole di benedizione di Chiara? È degno di ogni lode Dio, che ci ha creato! Allora anche la nostra esistenza può divenire, come quella di Chiara, un inno di lode. Fino alla fine.